mercoledì 26 gennaio 2011

Domande sul sesto e nono Comandamento

Che cosa ci proibisce il sesto comandamento: Non commettere atti impuri?
Il sesto comandamento: Non commettere atti impuri, ci proibisce ogni atto, ogni sguardo, ogni discorso contrario alla castità, e l'infedeltà nel matrimonio.

Che cosa proibisce il nono comandamento?
Il nono comandamento proibisce espressamente ogni desiderio contrario alla fedeltà che i coniugi si sono giurata nel contrarre matrimonio: e proibisce pure ogni colpevole pensiero o desiderio di azione vietata dal sesto comandamento.

É un gran peccato l'impurità?
È un peccato gravissimo ed abominevole innanzi a Dio ed agli uomini; avvilisce l'uomo alla condizione dei bruti, lo trascina a molti altri peccati e vizi, e provoca i più terribili castighi in questa vita e nell'altra.

Sono peccati tutti i pensieri che ci vengono in mente contro la purità?
I pensieri che ci vengono in mente contro la purità, per se stessi non sono peccati, ma piuttosto tentazioni e incentivi al peccato.

Quando è che sono peccati i pensieri cattivi?
I pensieri cattivi, ancorché siano inefficaci, sono peccati quando colpevolmente diamo loro motivo, o vi acconsentiamo, o ci esponiamo al pericolo prossimo di acconsentirvi.

Che cosa ci ordinano il sesto e nono comandamento?
Il sesto comandamento ci ordina di essere casti e modesti negli atti, negli sguardi, nel portamento e nelle parole. Il nono comandamento ci ordina di essere casti e puri anche nell'interno, cioè nella mente e nel cuore.

Che cosa ci convien fare per osservare il sesto e il nono comandamento?
Per ben osservare il sesto e il nono comandamento, dobbiamo pregare spesso e di cuore Iddio, essere divoti di Maria Vergine Madre della purità, ricordarci che Dio ci vede, pensare alla morte, ai divini castighi, alla passione di Gesù Cristo, custodire i nostri sensi, praticare la mortificazione cristiana e frequentare colle dovute disposizioni i sacramenti.

Che cosa dobbiamo fuggire per mantenerci casti?
Per mantenerci casti conviene fuggire l'ozio, i cattivi compagni, la lettura dei libri e dei giornali cattivi, l'intemperanza, il guardare le immagini indecenti, gli spettacoli licenziosi, le conversazioni pericolose, e tutte le altre occasioni di peccato.

martedì 25 gennaio 2011

Pensieri
“Mi domando se non sia ora di impazzire un po’ tutti, riscoprendo quel cristianesimo evangelico, estremistico, radicale, disarmato, dolcemente forsennato, che ci abbaglia ancora dalle pagine degli evangelisti e nelle cronache dei martiri, nei Fioretti di san Francesco e negli Inni di san Giovanni della Croce”

Italo Alighiero Chiusano

venerdì 21 gennaio 2011

Lo scandalo

Oltre alla vita materiale l'uomo ha una vita spirituale.
Il quinto Comandamento ci proibisce di commettere attentati alla vita dell'anima, quale lo scandalo: un vero e proprio omicidio spirituale.
Lo scandalo è ogni discorso, scritto e azione che induce altri a compiere il male.
Chi scandalizza si fà tentatore del suo prossimo.
La gravità dello scandalo è maggiore quando a causarlo sono coloro che, per natura o per funzione, sono tenuti ad educare gli altri. E' il caso dei genitori che hanno nei confronti dell'educazione religiosa e morale dei figli una responsabilità primaria.
E' il caso dei sacerdoti, ai quali i fedeli guardano come ai maestri della verità e ai testimoni della santità. Il loro buon o cattivo esempio può edificare o distruggere più di quando si possa immaginare.
Si rendono colpevoli di scandalo anche coloro che promuovono leggi o strutture sociali che portano alla degradazione dei costumi e alla corruzione della vita religiosa, a condizioni sociali che, volontariamente o no, rendono difficile un comportamento cristiano conforme ai Comandamenti.
Chi ha dato uno scandalo ha il dovere di ripararlo. Ma in che maniera? Cambiando condotta, dando buon esempio, e infine sforzandosi d'impedire gli effetti che vi sono ancora: ad esempio, revocando i cattivi consigli dati, ecc..

Brani tratti da catechesi di
P.Francesco Pio M. Pompa FI
Il settimanale di padre Pio

giovedì 20 gennaio 2011

Il quinto Comandamento

Non uccidere
Il quinto Comandamento ci ordina di rispettare ogni vita umana, dal momento del concepimento fino a quella della morte naturale.

Dal primo istante della sua esistenza, l'essere umano deve vedersi riconosciuti i diritti della persona, tra i quali il diritto inviolabile alla vita.
La Bibbia afferma: "Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato" (Ger 1,5).

Il quindo Comandamento ci proibisce di commettere attentati alla vita del corpo quali, ad esempio, l'omicidio, l'aborto, l'eutanasia e il suicidio.

martedì 18 gennaio 2011

Il quarto Comandamento


Onora il padre e la madre

Il quarto Comandamento ci ordina di onorare i genitori.
La parola onorare racchiude in sé tutti i doveri dei figli verso i genitori: amore, rispetto, riconoscenza, obbedienza e aiuto nelle necessità, soprattutto durante la vecchiaia (cf CCC, nn. 2214-2220).
Amare i genitori vuol dire sentire per essi un affetto sincero, per cui si fanno proprie tutte le loro gioie ed i loro dolori e si desidera di far loro tutto il bene che si può fare. Siamo loro debitori perché Dio ci ha dato la vita per mezzo loro; hanno sofferto per noi; hanno vegliato ansiosi sulla nostra culla e ci hanno allevati ed educati con ogni amore. Ci ricorda la Sacra Scrittura: «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare i dolori di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato; che darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?» (Sir 7,27-28).
Mancano perciò quei figli che trattano i genitori con arroganza, che li offendono, che rinfacciano loro difetti o colpe commesse, che li umiliano ed infine coloro che giungono a vergognarsi della loro ignoranza e povertà (cf CCC, nn. 2215-2216). «Per tutto il tempo in cui vive nella casa dei genitori, il figlio deve obbedire ad ogni loro richiesta motivata dal proprio bene o da quello della famiglia» (CCC, n. 2217). Un esempio insigne di ubbidienza fu dato all’umanità da Gesù Cristo, Figlio di Dio fatto uomo, che obbedì al Padre suo fino alla morte in croce, e ubbidì perfino a due creature della terra: alla Madonna e a san Giuseppe. Il Vangelo compendia la vita privata di Gesù con questa frase: «Era soggetto ad essi» (Lc 2,51).
«I figli devono anche obbedire agli ordini ragionevoli dei loro educatori e di tutti coloro ai quali i genitori li hanno affidati. Ma se in coscienza sono persuasi che è moralmente riprovevole obbedire ad un dato ordine, non vi obbediscano» (CCC, n. 2217).
Un figlio è tenuto a disubbidire ai genitori solo nel caso in cui essi comandassero cose contrarie ai Comandamenti di Dio o ai Precetti della Chiesa; ad esempio se proibissero in un giorno festivo d’andare a Messa o comunque spingessero al male.
«Con l’emancipazione cessa l’obbedienza dei figli verso i genitori, ma non il rispetto che ad essi è sempre dovuto.
«Il quarto Comandamento ricorda ai figli, divenuti adulti, le loro responsabilità verso i genitori. Nella misura in cui possono, devono dare loro l’aiuto materiale e morale, negli anni della vecchiaia e in tempo di malattia, di solitudine o di indigenza» (CCC, n. 2218).
La Bibbia richiama questo dovere dei figli: «Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati, chi riverisce la madre è come chi accumula tesori. Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli, sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce suo padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà consolazione alla madre» (Sir 3,2-6).«Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita. Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo mentre sei nel pieno del vigore [...] Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta la madre è maledetto dal Signore» (Sir 3,12-13.16).
Il rispetto verso i genitori si riflette su tutto l’ambiente familiare. Concerne anche le relazioni tra fratelli e sorelle: «Corona dei vecchi sono i figli dei figli» (Prv 17,6). «Con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza» sopportatevi «a vicenda con amore» (Ef 4,2) (cf CCC, n. 2219).
Il quarto Comandamento si rivolge anzitutto ai figli, ma implicitamente riguarda chiunque è sottomesso ad ogni legittima autorità. Inoltre esso implica e sottintende i doveri dei genitori, tutori, docenti, capi, magistrati, governanti e di tutti coloro che esercitano un’autorità su altri o su una comunità di persone (cf CCC, n. 2199

lunedì 17 gennaio 2011

Domande sul terzo Comandamento


Che cosa ci ordina il terzo comandamento: Ricordati di santificare le feste?
Il terzo comandamento: Ricordati di santificare le feste, ci ordina di onorare Dio con opere di culto nei giorni di festa.

Quali sono i giorni di festa?
I giorni di festa sono le domeniche ed altre festività stabilite dalla Chiesa.

Perché nella legge nuova si santifica la domenica invece del sabato?
La domenica, che significa giorno del Signore, fu sostituita al sabato perché in tal giorno Gesù Cristo Signor nostro risuscitò.

Quale opera di culto ci viene comandata nei giorni di festa?
Ci viene comandato di assistere divotamente al santo sacrificio della Messa.

Con quali altre opere un buon cristiano santifica le feste?
Il buon cristiano santifica le feste: 1.° coll'intervenire alla Dottrina cristiana, alle prediche ed ai divini uffizi; 2.° col ricevere spesso, con le dovute disposizioni i sacramenti della Penitenza e dell' Eucaristia; 3.° coll'esercitarsi nell' orazione e nelle opere di cristiana carità verso il prossimo.

Che cosa ci proibisce il terzo comandamento?
Il terzo comandamento ci proibisce le opere servili e qualunque opera che ci impedisca il culto di Dio.
Quali sono le opere servili proibite nei giorni di festa?
Le opere servili proibite nei giorni di festa sono le opere dette manuali, cioè quei lavori materiali in cui ha parte più il corpo che lo spirito; come quelle che ordinariamente si fanno dai servi, dagli operai e dagli artieri.
Quale peccato si commette lavorando in giorno di festa?
Lavorando in giorno di festa si commette peccato mortale: scusa però dalla colpa grave la brevità del tempo che si occupa.

Perchè sono proibite le opere servili?
Sono proibite nelle feste le opere servili, affinché possiamo meglio attendere al divin culto e alla salute dell'anima nostra; e riposarci dalle fatiche. Per questo non è proibito qualche onesto divertimento.

Tuttavia la Chiesa è ben consapevole che alcune attività sono necessarie anche di domenica per il buon funzionamento della società, come pure che, in particolari situazioni, hanno la precedenza i bisogni e le necessità della famiglia.
Si tratta di attività lavorative, il cui svolgimento è necessario per gravi ragioni:
1) la pubblica utilità. Esempio: i servizi di trasporto, il funzionamento degli impianti elettrici, idrici, del gas, gli strumenti della comunicazione sociale, ecc.;
2) la necessità di vita. Esempio: cucinare, urgenti lavori domestici, ecc.;
3) il pericolo di danni notevoli. Esempio: lavori urgenti in campagna o nelle grandi fabbriche, lo sgombero di edifici pericolanti, tenere accesi determinati impianti tecnici (per esempio, altiforni), i quali se venissero spenti e ridotti completamente all’inattività di domenica comporterebbero danni notevolissimi, o la cui riattivazione dopo la domenica comporterebbero costi molto elevati, ecc.;
4) la carità verso il prossimo. Esempio: l’assistenza di un malato grave;
5) la pietà. Esempio: lavori in chiesa da parte di chi presta servizio;
6) la consuetudine del luogo. Esempio: servizi di ristorazione e turistici ecc..

Queste eccezioni chiaramente non possono divenire un alibi per poter superare i limiti della liceità morale, come si tende a fare nella società dei consumi, col risultato di distruggere la Domenica e di ridurla ad un giorno feriale qualsiasi. Il criterio economico non deve prevalere sulla necessità di santificare i giorni festivi. I pubblici poteri quindi devono vigilare affinché sia assicurato ai cittadini un tempo destinato al riposo e al culto divino. Anche i datori di lavoro hanno un obbligo analogo nei confronti dei loro dipendenti (cf CCC, n. 2187).

domenica 16 gennaio 2011

Santificare la Domenica

Il lavoro ordinato a Dio diviene grazia di santificazione personale e di servizio al prossimo, ma quando esso prescinde da Dio e dalla sua Legge può diventare pericoloso per se stessi e per gli altri, è il caso del lavoro svolto e “fatto svolgere” nel giorno del Signore.
Evitare di acquistare di domenica prodotti non indispensabili è un gesto di amore sia verso Dio, che ha voluto dedicare il terzo Comandamento anche al riposo, sia verso il prossimo, perché molti lavoratori sono costretti a trascurare i loro diritti/doveri familiari di riposo e religiosi nel giorno del Signore.
Infatti, più volume di affari si ha con le spese di domenica (e negli altri giorni di festa), cioè più “domanda” di beni e servizi si sviluppa, e più si avrà “offerta” e, quindi, più giorni di apertura, maggiore orario prestato e, conseguentemente, più turni di lavoro per mamme e papà occupati nei magazzini, nelle casse, nella vigilanza, ecc.
Genitori, a volte separati e divorziati, che non potranno o sapranno dire di no ai loro responsabili, anche perché nel “settimo giorno” le ore di lavoro vengono pagate di più (e qui entra quindi in gioco anche la “tentazione”).
Chi pensasse che la vita soprannaturale si edifica volgendo le spalle al lavoro, non comprenderebbe la vocazione cristiana, secondo la quale il lavoro esteriore non deve provocare nessuna interruzione nella preghiera, così come il battito del nostro cuore non distrae l’attenzione che dedichiamo alle altre attività. L’uomo, insomma, si realizza pienamente lavorando, ma in modo cosciente e responsabile e, quindi, considerando il lavoro sempre un mezzo e non un fine. Ma la società economica non deve far sì che la responsabilità del lavoro ceda alla “schiavitù democratica”, quella cioè di un lavoro volontariamente (perché non esiste formale obbligo) ma coattivamente (perché si fa in modo di imporre di fatto) chiesto dal mercato e svolto anche “nel giorno di Sabato”.
Dopo Giovanni Paolo II, anche Benedetto XVI ha denunciato questo pericolo, alimentato anche da distorte visioni teologiche, di distruggere «la grande funzione sociale del sabato». Scrive infatti nel suo Gesù di Nazaret (Rizzoli, Milano 2007, p. 139): «La risurrezione di Gesù “il primo giorno della settimana” fece sì che questo “primo giorno” – l’inizio della creazione – divenisse il “giorno del Signore”, nel quale confluirono da sé – attraverso la comunione della mensa con Gesù – gli elementi essenziali del sabato veterotestamentario. Che nel corso di tale processo la Chiesa avesse assunto in modo nuovo anche la funzione sociale del sabato – sempre orientata al “Figlio dell’uomo” – si vide chiaramente quando Costantino, nella sua riforma giuridica cristianamente ispirata, associò a questo giorno anche alcune libertà per gli schiavi e introdusse così nel sistema giuridico basato su principi cristiani il giorno del Signore come il giorno della libertà e del riposo.
Anche se il lavoro può divenire preghiera continua, esso non può assolutamente costituire l’esclusiva forma di realizzazione dell’uomo, guai! Questo perché, come afferma ancora il Fondatore dell’Opus Dei, così se ne altererebbe la funzione essenziale: «Il lavoro accompagna inevitabilmente la vita dell’uomo sulla terra. Assieme ad esso compaiono lo sforzo, la fatica, la stanchezza, come manifestazione del dolore e della lotta che fanno parte della nostra esistenza attuale e che sono segni della realtà del peccato e del bisogno di redenzione. Ma il lavoro non è in se stesso una pena, né una maledizione, né un castigo: coloro che parlano così non hanno letto bene la Sacra Scrittura. È tempo che i cristiani dicano ben forte che il lavoro è un dono di Dio» (È Gesù che passa, punto 47). Ma per esser vissuto come un dono, tranne casi eccezionali, non dovrebbe essere più prestato, favorito, organizzato nel giorno del Signore!

Di Giuseppe Brienza
Tratto da: Il settimanale di padre Pio

venerdì 14 gennaio 2011

Il secondo Comandamento

Non nominare il nome di Dio invano

Il secondo Comandamento ci proibisce innanzitutto la bestemmia, le imprecazioni, il pronunciare il santo Nome di Dio, come pure quello di Gesù Cristo, della Beata Vergine e dei Santi, nella collera, per scherzo o in altro modo poco riverente (CCC, nn. 2146, 2148-2149).
La bestemmia «consiste nel proferire contro Dio (o contro la Madonna, i Santi e le cose sante) – interiormente o esteriormente – parole di odio, di rimprovero, di sfida, nel parlare male di Dio, nel mancare di rispetto verso di lui nei propositi, nell’abusare del Nome di Dio» (CCC, n. 2148).
Si può bestemmiare anche con i gesti; ad esempio levando un pugno verso l’alto in segno di ribellione e di sfida a Dio. È bestemmia anche attribuire a Dio qualcosa che ripugna alla sua Bontà, alla sua santità o alla sua perfezione; come il dirlo ingiusto, cattivo, parziale. È bestemmia negare le perfezioni che Egli ha, come la Sapienza, la Potenza, la Provvidenza. Non è raro purtroppo sentire anche anime, che si credono buone, le quali dicono che Dio non è giusto, che non provvede, che fa preferenze, che non doveva fare questa o quell’altra cosa.
La bestemmia è un peccato mortale, anzi, è il più grave di tutti, perché offende ed oltraggia Dio direttamente. Mentre gli altri peccati offendono la Legge di Dio, la bestemmia invece è un’ingiuria diretta contro di Lui. Questo peccato non ammette scuse: non basta dire che è la collera che fa bestemmiare. La stessa collera infatti è già peccato. D’altra parte perché prendersela col Signore? Neppure si può dire che ormai si è presa l’abitudine. Infatti potrebbe forse essere perdonato un ladro, che davanti al giudice dicesse di non essere colpevole, perché ormai ha acquistato l’abitudine di rubare?
I dolori e le disgrazie che ci possono capitare non scusano le nostre bestemmie davanti a Dio, perché Dio tutto permette per un nostro maggior bene ed è proprio in questi momenti che dobbiamo attaccarci di più al Signore.
La bestemmia, oltre ad essere un’offesa gravissima a Dio, è anche una grande viltà. Si bestemmia sapendo che Dio tace, non risponde, tollera. La stessa viltà dei servi che bendarono Gesù e lo schiaffeggiarono, gli sputarono in faccia, domandandogli di indovinare chi era stato (cf Mt 26,67-68).
Stupidità, ignoranza e perversione morale fanno pure dire: “Chi bestemmia, crede”. Questi incoscienti diranno poi davanti a Dio, al termine della loro vita: “Signore, ho manifestato la mia fede in te, bestemmiandoti continuamente!”. Chissà cosa risponderà loro il Signore! Costoro farebbero meglio a meditare seriamente la Parola di Dio che dice: «Non ti impigliare due volte nel peccato, perché neppure di uno resterai impunito!» (Sir 7,8). Ed ancora: «Il Signore non ha comandato a nessuno di essere malvagio, e non ha dato a nessuno il permesso di peccare» (Sir 15,20).La bestemmia è anche un grave scandalo! Il padre di famiglia trasmette purtroppo l’abitudine ai figli, l’operaio al collega, il giovane al proprio compagno, e la responsabilità pesa sulla coscienza. Il bestemmiatore è il collaboratore diretto del demonio. Satana non può scagliarsi direttamente contro Dio e spinge l’uomo a fare lui questa triste parte, riservandogli poi il premio di portarlo con sé nell’abisso eterno! Abbiamo il dovere di riparare l’offesa fatta a Dio, alla Madonna o ai Santi con una preghiera e una giaculatoria, detta anche solo col pensiero. Se abbiamo il coraggio e l’opportunità, facciamo sentire il nostro rimprovero calmo e garbato. Vi è differenza tra la bestemmia e l’imprecazione perché la bestemmia è rivolta contro Dio, mentre l’imprecazione è un’ingiuria che può essere diretta anche contro il prossimo o contro gli avvenimenti a cui ci si ribella (cf CCC, n. 2149). Il secondo Comandamento ci proibisce anche di pronunciare il Nome divino inutilmente, senza ragione e senza rispetto. Molti hanno il Nome di Dio sempre sulle labbra per ogni piccola cosa, per esprimere meraviglia o in moti d’impazienza e di collera. Chi così pronunzia il Nome di Dio non va esente da colpa, almeno veniale. Lo stesso si dica se inopportunamente si pronunziasse il Nome della Madonna, dei Santi e delle cose sante.
Il secondo Comandamento proibisce l’uso magico del Nome divino (e delle preghiere). È il caso di persone, anche in buona fede, che dicono di togliere il malocchio, mettendo in un piatto d’acqua delle gocce di olio o dei chicchi di grano. Pensano che ciò sia una cosa buona solo perché fanno dei segni di croce e dicono delle preghiere nel fare questo. Invece è peccato perché si profana il Nome di Dio o il santo Segno della croce infangandoli con queste pratiche magiche (CCC, n. 2149). Il secondo Comandamento proibisce i giuramenti falsi (chiamare Dio ad essere testimone di una menzogna), e anche i giuramenti illeciti (quelli con cui ci si impegna a compiere il male) (CCC, nn. 2150-2152). Astenersi dal falso giuramento è un dovere verso Dio. Come Creatore e Signore, Dio è la norma di ogni verità. Dio è la stessa Verità (CCC, n. 2151).
Non siamo obbligati ad adempiere i giuramenti iniqui, anzi commetteremmo un peccato nell’eseguire quelle azioni cattive a cui ci siamo colpevolmente impegnati in tale modo (chi giura di vendicarsi o di recare danno al prossimo). Si vorrebbe coinvolgere nientemeno Dio nel compiere un’azione cattiva!
Non è bene ricorrere spesso al giuramento, ma esso va riservato ai casi di vera necessità e per un motivo giusto, per esempio davanti ad un tribunale (CCC, nn. 2153-2155).
È in armonia con quanto insegna Gesù nel Discorso della Montagna: «Avete che inteso che fu detto agli antichi: Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti; ma io vi dico: non giurate affatto: né per il cielo, perché è il trono di Dio; né per la terra, perché è lo sgabello per i suoi piedi; né per Gerusalemme, perché è la città del gran re. Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello. Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5,33-34.37). Anche san Paolo lascia intendere che non è contrario al Volere divino ricorrere al giuramento quando è veramente necessario e secondo giustizia. Così scrive ai Corinzi: «Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto» (2Cor 1,23). E ai Galati: «In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco» (Gal 1,20).
Non si oppone al secondo Comandamento lo scongiuro, ossia il tentativo di indurre una persona a fare od omettere qualche cosa, interponendo il Nome di Dio. Il Nome di Dio è considerato tanto degno di venerazione che, uditolo, l’altro sia mosso a fare od omettere qualche cosa. Per la liceità si richiede che si prenda la cosa seriamente; che vi sia un motivo proporzionato, infine che si voglia ottenere qualche cosa di lecito. Lo scongiuro è un atto di latria (di adorazione) quando è fatto interponendo direttamente il Nome di Dio o di cose, in cui riluce in modo particolare la maestà di Dio (ad es. la Passione e Morte di Nostro Signore Gesù Cristo). Lo scongiuro può essere fatto in forma semplice (privatamente) o in forma solenne (quando è fatto a nome della Chiesa, dai suoi ministri, nella maniera prescritta). Può essere pure fatto o in forma deprecativa, cioè in forma di preghiera, come nelle litanie dei Santi o in forma imperativa, come un comando. In questa seconda forma lo scongiuro può solo essere rivolto ad esseri inferiori, o al demonio, interponendo il Nome di Dio. Gli scongiuri che il ministro, a ciò deputato dalla Chiesa, fa in nome di Dio ed autoritativamente contro il demonio, o per indurlo ad abbandonare le persone da lui possedute o per indurlo a cessare dall’infestare persone o cose, anche inanimate, prendono nome di esorcismi.

di padre Francesco Pio M. Pompa FI
Tratto da: Il settimanale di padre Pio

giovedì 13 gennaio 2011

Il culto della Madonna, degli Angeli e dei Santi


Non è contrario al primo Comandamento il culto della Madonna, degli Angeli e dei Santi. Non si tratta di un culto di adorazione (di supremo dominio su di noi), che si deve solo a Dio, ma di venerazione o di dulìa (agli Angeli e ai Santi), e di iperdulìa o di speciale venerazione (alla Madonna, posta al di sopra di tutti gli Angeli e i Santi), considerandoli come amici di Dio e per i doni che hanno ricevuto da Lui.

Venerare non è adorare, ma solo prestare ossequio, rispetto, ecc.
L’onorarli non offende Dio, ma ritorna a gloria sua. Onorando, per esempio, la Santissima Vergine come Madre di Dio noi onoriamo prima di tutto Colui che la elesse Madre sua, la conservò vergine, la fece Regina del Cielo e della terra, Mediatrice di tutte le grazie, ecc.Onorando i doni e le grandezze degli Angeli e dei Santi, onoriamo il Datore di ogni grandezza, di ogni dono di natura e di grazia, Colui che si serve degli Angeli e dei Santi per operare meraviglie e prodigi.I Santi, in senso largo, sono coloro che hanno ricevuto la grazia santificante nel Battesimo. In senso stretto, sono tutti coloro che, praticando eroicamente le virtù secondo gli insegnamenti e gli esempi di Gesù Cristo, hanno meritato speciale gloria in Paradiso e anche in terra; quelli canonizzati, per autorità della Chiesa, sono pubblicamente onorati (CCC, nn. 825, 828).

Noi siamo in perfetta armonia con la Bibbia quando ricordiamo i Santi, ne facciamo l’elogio e li imitiamo nel loro grande amore a Gesù Cristo e all’umanità.
Nel Libro del Siracide si legge: «Facciamo l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati per generazione. Questi furono uomini virtuosi, i cui meriti non vanno dimenticati» (44,1 e 10).Nella Lettera agli Ebrei si esalta la fede degli antenati a conforto e sprone dei suoi lettori: «Nella fede morirono tutti costoro, senza aver conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano» (11,13). E ancora: «E che dirò ancora? Mi mancherebbe il tempo, se volessi narrare di Gedeone, di Barac, di Sansone, di Jefte, di David, di Samuele e dei profeti, i quali per la fede conquistarono regni, esercitarono la giustizia, conseguirono le promesse, [...] divennero forti in guerra, respinsero invasioni di stranieri» (11,32-35). «Anche noi dunque, circondati da un così gran numero di testimoni, deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci intralcia, corriamo con perseveranza nella corsa, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede» (12,1-2).

I Santi sono nostri potenti intercessori.
Questo vuol dire che, dietro preghiera o richiesta dei loro fratelli nella fede che sono ancora su questa terra, intervengono a loro favore presso Dio per ottenere da Dio le grazie o cose desiderate.San Paolo chiede spesso le preghiere, ossia l’intercessione, dei cristiani affinché Dio lo liberi dai pericoli che lo minacciano nel suo lavoro apostolico (cf Ef 6,18-19 e Rm 15,30-31). Altre volte Paolo offre a Dio le sue preghiere, ossia la sua intercessione, a vantaggio spirituale dei fedeli (cf Col 1,9-10).San Giacomo afferma: «Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza. Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse i suoi frutti» (5,16-17).Legittimo è anche il culto delle reliquie dei Santi, perché lo Spirito Santo ha santificato quei corpi, che furono strumenti di bene e saranno un giorno glorificati con la finale risurrezione. Questo culto si chiama relativo, perché viene riferito al Santo.

Nella Sacra Scrittura abbiamo molti esempi di venerazione verso gli Angeli. Ricordiamo solo Abramo, che, veduti tre Angeli in figura umana e riconosciutili, si prostrò davanti a loro, li venerò, li pregò di trattenersi presso di lui e li colmò di onori (cf Gen 18).

Anche la venerazione di Maria Santissima è in armonia con la Bibbia. Infatti, l’Arcangelo Gabriele, santa Elisabetta e Gesù ci offrono chiari esempi di venerazione (e non di adorazione) mariana. L’Arcangelo salutò la Madonna: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te» (Lc 1,28). Ed «Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!» (Lc 1,41-42). Alle Nozze di Cana l’intercessione della Madonna ottenne il suo effetto e Gesù fece il primo miracolo, cambiando l’acqua in vino (cf Gv 2,1-11).La spiegazione da noi data trova conferma nelle parole stesse della Vergine: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48).

di padre Francesco Pio M. Pompa FI
Tratto da: Il settimanale di padre Pio

mercoledì 12 gennaio 2011

I cattolici e le immagini sacre


A volte, parlando con cristiani protestanti e membri di qualche setta, i cattolici vengono rimproverati per l 'uso delle immagini di Gesù, della Vergine Maria o dei santi, sia nel culto come nella devozione privata. Dicono che è proibito dalla Bibbia e dalla legge di Dio.
E' vero questo?
Di solito, chi vuole dimostrare che Dio è contrario all’utilizzo e alla venerazione delle immagini, e dunque che i cattolici si pongono contro la volontà di Dio, ci leggerà i versetti 2,3,4 e 5 del capitolo 20 del Libro dell’Esodo. E dopo la lettura di questi versetti si passa facilmente alla classica contestazione: la Chiesa Cattolica, utilizzando immagini e statue, disobbedisce al comando di Dio.

Prima di farci impressionare da queste osservazioni, ascoltiamo bene che cosa è scritto in quei versetti biblici: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla condizione di schiavitù: non avrai altri dei di fronte a me. Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra.”

Dopo quello che abbiamo letto, che è scritto addirittura nella Bibbia, non siamo forse di fronte alla prova che la Chiesa ha disobbedito al comando di Dio?

A questa domanda, più che legittima, dobbiamo dare una risposta. Intanto, bisogna leggere tutta la Bibbia, non solo qualche brano. Infatti, noi abbiamo i versetti 2, 3 e 4 del capitolo 20 del Libro dell’Esodo. Subito dopo, nel versetto 5, il Signore spiega perché ha dato quel comando: “Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai”.
Ecco il motivo per il quale Dio proibisce l’uso delle immagini. Dio non proibisce le immagini in quanto tali, non proibisce l’utilizzo delle immagini sacre, ma proibisce l’idolatria, che era, ed è, un peccato gravissimo.

Che cosa si intende per idolatria: mettere al posto del vero Dio un “idolo” e adorarlo. Ecco la ragione per la quale Dio proibisce di fare immagini: perché gli Ebrei correvano seriamente il pericolo di considerarle idoli e di adorarle; correvano il pericolo di prestare alle immagini, alle statue di creature del cielo o della terra quel culto che è dovuto solo a Dio. Era un pericolo concreto, visto che gli Ebrei erano circondati da popoli idolatri.

Dunque, noi cattolici sosteniamo questa tesi: non proibizione totale delle immagini, ma proibizione dell’idolatria. Se leggiamo bene tutti i passi della Sacra Scrittura che proibiscono la costruzione di statue e di immagini, ci accorgeremo che la Bibbia condanna solo e sempre la raffigurazione e l’adorazione delle immagini e delle divinità pagane, ossia degli idoli, in contrasto con l’adorazione dell’unico vero Dio.
A questo punto, capite bene, bisogna portare le prove che dimostrano la veridicità della dottrina cattolica. Siamo sicuri di interpretare bene il comando di Dio?
Si, siamo sicuri. E le prove ci sono date sempre dalla Sacra Scrittura. Proprio la Bibbia insegna che Dio non proibisce, sempre, per qualunque ragione, di costruire immagini. Anzi, nella Bibbia si legge che Dio ha addirittura ordinato di costruire immagini e statue.

Restiamo nel libro dell’Esodo. Leggiamo, al capitolo 37, che Mosé, convocò “tutti gli uomini di ingegno” – e la Bibbia ci dice che questi uomini di ingegno, questi artisti “il Signore [li] aveva dotati di saggezza e di intelligenza, perché fossero in grado di eseguire i lavori della costruzione del santuario, fecero ogni cosa secondo ciò che il Signore aveva ordinato” (36,1).
Bene: che cosa aveva ordinato il Signore? Aveva ordinato di adornare con statue e immagini l’Arca dell’Alleanza. Il libro dell’Esodo, ci svela un preciso, chiarissimo comando del Signore. È Jahvè che parla e ordina: “Farai due cherubini d’oro: li farai lavorati a martello sulle due estremità del coperchio. Fa’ un cherubino ad una estremità e un cherubino all’altra estremità. Farete i cherubini tutti di un pezzo con il coperchio alle sue due estremità. I cherubini avranno le due ali stese di sopra, proteggendo con le ali il coperchio; saranno rivolti l’uno verso l’altro e le facce dei cherubini saranno rivolte verso il coperchio” (Es. 25,18-21)

Ma allora, come si può vedere molto bene da questo brano, il Signore ordina di scolpire e fare statue di cherubini, cioè di angeli, per adornare i luoghi di culto. Vedete bene che quando non c’è il pericolo di idolatria, costruire statue per il culto corrisponde alla volontà di Dio.
Non solo: sempre nel Libro dell’Esodo si legge che uno di quegli artisti che il Signore aveva dotati di saggezza e di intelligenza disegnò due cherubini sul “velo di porpora viola e di porpora rossa, di scarlatto e di bisso ritorto” (Es. 36,35). Quindi, si capisce bene che non solo le statue, ma anche i disegni, le “immagini” di creature sono gradite a Dio, quando sono utilizzate per il culto e non v’è pericolo di idolatria.

La Bibbia offre anche altre informazioni che rafforzano le ragioni della nostra fede cattolica.

Che la proibizione di scolpire statue di creature riguardasse solo quegli oggetti che sarebbero diventati idoli, è dimostrato anche da un altro episodio chiarissimo.
Lo troviamo nel Libro dei Numeri, al capitolo 21. Il popolo d’Israele è uscito dall’Egitto e si trova nel deserto, in cammino verso la terra promessa. La durezza del viaggio causa una protesta contro Dio e contro Mosé. Il Signore punisce questo grave peccato di ribellione contro la sua volontà mandando in mezzo al popolo serpenti velenosi che, dice la Bibbia: “mordevano la gente e un gran numero di Israeliti morì” (Nm 21,6).

La punizione del Signore ottiene il pentimento del peccatore. Il popolo si rivolge di nuovo fiducioso a Mosè e riconosce il proprio peccato. Mosé allora intercede presso Dio pregando e il Signore gli ordina: “Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita” (Nm 21,8).

Vedete bene che il Signore, in questa occasione, ordina esplicitamente di costruire un oggetto che raffigura una creatura terrestre – il serpente -; naturalmente, in questo comando del Signore non c’è nessuna contraddizione con l’ordine dato da Dio di non costruire alcun oggetto che raffigurasse creature terrestri.
Perché non vi è contraddizione? Perché la proibizione di costruire oggetti riguardava – come abbiamo detto- solo gli idoli; la proibizione voleva evitare – come abbiamo detto – il pericolo che questi oggetti diventassero idoli e fossero adorati al posto di Dio.
Anche qui è lecito porsi molto onestamente la domanda: stiamo interpretando bene la Sacra Scrittura?
Si, e la prova è data dal fatto che quello stesso serpente costruito per ordine di Dio viene distrutto, sempre per ordine di Dio, quando gli Ebrei cominciano ad adorarlo, a bruciargli incenso, a dargli un nome idolatrico: Necustan (2 Re 18, 4).

Vedete amici: uno stesso oggetto può essere voluto da Dio se serve al culto e distrutto da Dio se diventa un idolo. Altro che proibizione assoluta di fare immagini, come sostengono i contestatori della dottrina cattolica.

Facciamo un passo avanti nella nostra riflessione. Visto che la Bibbia illustra chiaramente la legittimità di costruire statue e di farsi immagini che richiamano la grandezza di Dio, chiediamo alla storia di dirci come sì sono comportati gli uomini di fede della Bibbia.

La prima risposta che la storia ci dà riguarda il luogo di culto più importante di Israele, il Tempio, costruito dal grande re Salomone. Il Primo Libro dei Re descrive come Salomone ha costruito il tempio e ci dice che Salomone è stato lodato da Dio (9,3).

E la storia ci dice che Salomone fece porre nel tempio statue di metallo fuso che rappresentavano 12 buoi, poi ancora statue di leoni, di buoi e di cherubini. Come vedete, per adornare un luogo di culto, quando non vi è pericolo di idolatria, il Signore gradisce che si costruiscano statue e si realizzino dipinti.

Ora, nessuno che abbia un pò di conoscenza della dottrina cattolica, può accusare i cattolici di adorare le statue che sì trovano nelle nostre chiese. Non vi è il pericolo di adorare statue e dipinti, di considerare Maria, gli Angeli e i Santi come se fossero Dio e di metterli al posto di Dio.
Il cattolico non venera l'immagine in se stessa , la quale è semplicemente un oggetto materiale, ma colui che l'immagine rappresenta.

Tratto da: famiglia cattolica

domenica 9 gennaio 2011

Domande sul primo comandamento


Perché si dice in principio: Io sono il Signore Iddio tuo?
In principio dei comandamenti si dice: Io sono il Signore Iddio tuo, perché conosciamo che Dio, essendo il nostro Creatore e Signore, può comandare quello che vuole, e noi, sue creature, siamo tenuti ad obbedirgli.

Che cosa Iddio ci ordina colle parole del primo comandamento: Non avrai altro Dio avanti di me?
Con le parole del primo comandamento: Non avrai altro Dio avanti di me, Iddio ci ordina di riconoscere, di adorare, di amare e servire Lui solo, come nostro supremo Signore.

Che cos'è l'idolatria?
Si chiama idolatria il dare a qualche creatura, per esempio ad una statua, ad un'imagine, ad un uomo, il culto supremo di adorazione dovuto a Dio solo.

Come si trova espressa nella Sacra Scrittura questa proibizione?
Nella Sacra Scrittura si trova espressa questa proibizione con le parole: Tu non ti farai scultura, né rappresentazione alcuna di quel che è lassù nel cielo e quaggiù in terra. E non adorerai tali cose, né ad esse presterai culto.

Proibiscono queste parole ogni sorta d'immagini?
No certamente; ma soltanto quelle delle false divinità, fatte a scopo di adorazione, come facevano gl'idolatri. Ciò è tanto vero che Iddio stesso comandò a Mosè di farne alcune, come le due statue di cherubini sull'arca, e il serpente di bronzo nel deserto.

Che cosa è la superstizione?
Si chiama superstizione qualunque devozione contraria alla dottrina e all'uso della Chiesa, come anche l'attribuire ad un'azione o ad una cosa qualunque una virtù soprannaturale che non ha.

Che cosa è il sacrilegio?
Il sacrilegio è la profanazione di un luogo, di una persona o di una cosa consacrata a Dio e destinata al suo culto.

Che cosa è l'eresia?
L'eresia è un errore colpevole dell'intelletto, per cui si nega con pertinacia qualche verità della fede.

Quali altre cose proibisce il primo comandamento?
Il primo comandamento ci proibisce altresì qualunque commercio col demonio e l'aggregarsi alle sètte anticristiane.

Chi ricorresse al demonio o lo invocasse, commetterebbe grave peccato?
Chi ricorresse al demonio o lo invocasse commetterebbe un peccato enorme, perché il demonio è il più perverso nemico di Dio e dell'uomo.

È lecito interrogare le tavole così dette parlanti o scriventi, o consultare in qualunque modo le anime dei trapassati mediante lo spiritismo?
Tutte le pratiche dello spiritismo sono illecite, perché superstiziose, e spesso non immuni da intervento diabolico, e perciò furono dalla Chiesa giustamente proibite.

Il primo comandamento proibisce forse di onorare ed invocare gli Angeli e i Santi?
No, non è proibito onorare ed invocare gli Angeli e i Santi; anzi dobbiamo farlo, perché è cosa buona e utile, e dalla Chiesa altamente raccomandata, essendo essi gli amici di Dio e i nostri intercessori presso di Lui.

Essendo Gesù Cristo il nostro unico Mediatore presso Dio, perché ricorriamo anche alla mediazione di Maria santissima e dei Santi?
Gesù Cristo è il nostro Mediatore presso Dio, inquantoché, essendo vero Dio e vero Uomo, Egli solo in virtù dei propri meriti ci ha riconciliati con Dio e ce ne ottiene tutte le grazie. La Vergine poi e i Santi in virtù dei meriti di Gesù Cristo e per la carità che li unisce a Dio ed a noi, ci aiutano con la loro intercessione ad ottenere le grazie che domandiamo. E questo è uno dei grandi beni della comunione dei Santi.

Possiamo onorare anche le sacre imagini di Gesù Cristo e dei Santi?
Si, perché l'onore che si rende alle sacre imagini di Gesù Cristo e dei Santi si riferisce alle loro stesse persone.

E le reliquie dei Santi si possono onorare?
Si, anche le reliquie dei Santi si debbono onorare, perché i loro corpi furono vivi membri di Gesù Cristo, e templi dello Spirito Santo, e debbono risorgere gloriosi all'eterna vita.

Che differenza vi è tra il culto che rendiamo a Dio e il culto che rendiamo ai Santi?
Tra il culto che rendiamo a Dio e il culto che rendiamo ai Santi vi è questa differenza, che Iddio lo adoriamo per la sua infinita eccellenza, e i Santi invece non li adoriamo, ma li onoriamo e veneriamo come amici di Dio e nostri intercessori presso di Lui. Il culto che si rende a Dio si chiama latria cioè di adorazione, ed il culto che si rende ai Santi si chiama dulia cioè di venerazione a' servi di Dio; il culto poi particolare, che prestiamo a Maria santissima, si chiama iperdulia, cioè di specialissima venerazione, come a Madre di Dio.