lunedì 11 aprile 2011

Santità e vita cristiana

Nel nostro tempo praticamente tutti gli uomini che ci circondano hanno già sentito parlare di Gesù e della Chiesa, hanno visto le chiese e i campanili, hanno partecipato almeno qualche volta ai Sacramenti, ai funerali... Ma spesso conoscono male il Vangelo, Dio e le esigenze della vita cristiana; ne hanno sentito parlare in modo approssimativo, spesso hanno avuto esempi smorti di vita cristiana... Molti sono rimasti scandalizzati: «I cristiani sono come gli altri (... se non peggio!)». Quindi, non basta portare libri o fare discorsi; dobbiamo portare il vangelo vissuto, e vissuto in modo integrale! Il mondo ha bisogno di vedere dei cristiani santi, degli uomini davvero nuovi, come lo erano i primi cristiani. C'è un'antica preghiera che dice: «Noi siamo l'unica Bibbia che i popoli leggono ancora». Ecco, dobbiamo diventare santi! Il Papa ci ha invitato spesso alla santità, anche nella Lettera apostolica per l'inizio del nuovo millennio (Novo millennio ineunte); dice che è necessario non solo ricordare che tutti i cristiani sono chiamati alla santità, ma che occorre ripensare e riorganizzare tutta la pastorale, anche nelle parrocchie, in modo tale da offrire concretamente ai cristiani i mezzi per camminare e giungere alla santità (scuole di preghiera, di vita spirituale, di virtù, di silenzio, di mortificazione, di discernimento... riflessione sugli esempi e sulla vita dei Santi... direzione spirituale...). Quanto siamo lontani da questo! A volte anche i Sacerdoti e i consacrati non hanno davanti l'ideale della santità, e si disperdono in attività varie e ben poco santificanti.

venerdì 1 aprile 2011

Regola di vita cristiana


«Non credete ai distruttori delle regole che parlano in nome dell’amore. Là dove la regola è frantumata, l’amore abortisce».(Gustave Thibon)


Due parole riassumono magnificamente la spiritualità monastica del XII secolo: Magnitudo, grandezza dell’uomo immagine di Dio, e rectitudo, lo sforzo necessario di rettitudine dopo la caduta nel peccato originale. La parola regola, che ha la stessa radice di rectitudo, non ha una buona fama, salvo tra i monaci benedettini che vedono nella Regola del loro patriarca un monumento di saggezza e l’espressione santissima della volontà di Dio. Vittime da due secoli di una falsa filosofia, abbiamo finito per vedere nella regola un intralcio alla libertà, quando invece ne è la condizione stessa. Quarant’anni fa Gustave Thibon aveva lanciato questo terribile avvertimento: «Disprezzi le regole, le tradizioni e i dogmi. Non vuoi imporre nessun inquadramento dottrinale al tuo bambino, al tuo discepolo; benissimo. Gli dai da bere un vino prezioso, dimentichi solo di dargli una coppa; cos’è il vino senza coppa? Un ruscello che cade a terra, ed eccolo versato, produce il peggior fango». La tradizione militare e l’esperienza del comando testimoniano in favore dell’obbedienza alla regola. Ecco le parole di un ufficiale (capitano André Bridoux, Souvenirs du temps des morts):«Più la regola è severa, più c’è libertà. Questo si capisce. Un capo sicuro dei suoi subordinati può essere generoso nel concedere favori. «Si può soffrire qualche volta di essere comandati troppo o male; si soffre ancora di più di non esserlo affatto, perché il disordine si produce subito e la più grande disgrazia pesa allora sui piccoli. «Questo rispetto della regola stretta porta lontano, e in particolare a una grande severità nei giudizi perché, secondo questo principio, il cavaliere d’Assas non ha fatto che il suo dovere; è meglio appoggiarsi alla perfezione della regola che sull’imperfezione della natura. «Gli uomini saranno sempre obbligati ad assicurarsi contro sé stessi. La buona volontà non è sufficiente, perché presto si piegherebbe di fronte alla prova ripetuta del pericolo della morte, prima ancora davanti al ripetersi di lavori semplici ma noiosi che riempiono la vita del soldato e che sono tuttavia indispensabili». Quante anime rimpiangono tardi di non avere saputo serrare la propria vita in un corsetto di ferro di una regola morale esigente! Il suo impiego ragionevole avrebbe loro risparmiato lo spettacolo desolante di un’esistenza senza regole, fatta di mollezza e di pigrizia. «Ah! Se si potesse rifare…», si dicono con un tono toccante. Ma la parola inesorabile del poeta cade come una spada: Never more!Senza una disciplina personale, non c’è artista, non c’è scrittore, non c’è ingegnere; talento personale e santità sono votate allo scacco. Senza regola, non c’è capolavoro, non c’è vita contemplativa, non c’è elevazione mistica. È arrivato il momento di sbarazzarsi degli slogan faciloni che ricoprono il suolo putrescente di questo tempo, e di ritrovare il segreto degli antichi per diventare, non degli imbroglioni disonesti, ma dei saggi artigiani delle nostre vite. Non ricordo quale scrittore diceva: «Il genio consiste nel sedersi all’ora prefissata al proprio tavolo di lavoro». Comunque bisogna ricordare – soprattutto per quanto riguarda l’ordine spirituale – il paragone stabilito da Charles Péguy tra le regole dure e le regole morbide, queste essendo più esigenti di quelle, perché impegnano l’uomo in una zona di profondo legame. È solo in questo senso, e non senza qualche apprensione, che proponiamo una regola di vita dell’anima.


Dom Gérard Calvet O.S.B.