domenica 16 gennaio 2011

Santificare la Domenica

Il lavoro ordinato a Dio diviene grazia di santificazione personale e di servizio al prossimo, ma quando esso prescinde da Dio e dalla sua Legge può diventare pericoloso per se stessi e per gli altri, è il caso del lavoro svolto e “fatto svolgere” nel giorno del Signore.
Evitare di acquistare di domenica prodotti non indispensabili è un gesto di amore sia verso Dio, che ha voluto dedicare il terzo Comandamento anche al riposo, sia verso il prossimo, perché molti lavoratori sono costretti a trascurare i loro diritti/doveri familiari di riposo e religiosi nel giorno del Signore.
Infatti, più volume di affari si ha con le spese di domenica (e negli altri giorni di festa), cioè più “domanda” di beni e servizi si sviluppa, e più si avrà “offerta” e, quindi, più giorni di apertura, maggiore orario prestato e, conseguentemente, più turni di lavoro per mamme e papà occupati nei magazzini, nelle casse, nella vigilanza, ecc.
Genitori, a volte separati e divorziati, che non potranno o sapranno dire di no ai loro responsabili, anche perché nel “settimo giorno” le ore di lavoro vengono pagate di più (e qui entra quindi in gioco anche la “tentazione”).
Chi pensasse che la vita soprannaturale si edifica volgendo le spalle al lavoro, non comprenderebbe la vocazione cristiana, secondo la quale il lavoro esteriore non deve provocare nessuna interruzione nella preghiera, così come il battito del nostro cuore non distrae l’attenzione che dedichiamo alle altre attività. L’uomo, insomma, si realizza pienamente lavorando, ma in modo cosciente e responsabile e, quindi, considerando il lavoro sempre un mezzo e non un fine. Ma la società economica non deve far sì che la responsabilità del lavoro ceda alla “schiavitù democratica”, quella cioè di un lavoro volontariamente (perché non esiste formale obbligo) ma coattivamente (perché si fa in modo di imporre di fatto) chiesto dal mercato e svolto anche “nel giorno di Sabato”.
Dopo Giovanni Paolo II, anche Benedetto XVI ha denunciato questo pericolo, alimentato anche da distorte visioni teologiche, di distruggere «la grande funzione sociale del sabato». Scrive infatti nel suo Gesù di Nazaret (Rizzoli, Milano 2007, p. 139): «La risurrezione di Gesù “il primo giorno della settimana” fece sì che questo “primo giorno” – l’inizio della creazione – divenisse il “giorno del Signore”, nel quale confluirono da sé – attraverso la comunione della mensa con Gesù – gli elementi essenziali del sabato veterotestamentario. Che nel corso di tale processo la Chiesa avesse assunto in modo nuovo anche la funzione sociale del sabato – sempre orientata al “Figlio dell’uomo” – si vide chiaramente quando Costantino, nella sua riforma giuridica cristianamente ispirata, associò a questo giorno anche alcune libertà per gli schiavi e introdusse così nel sistema giuridico basato su principi cristiani il giorno del Signore come il giorno della libertà e del riposo.
Anche se il lavoro può divenire preghiera continua, esso non può assolutamente costituire l’esclusiva forma di realizzazione dell’uomo, guai! Questo perché, come afferma ancora il Fondatore dell’Opus Dei, così se ne altererebbe la funzione essenziale: «Il lavoro accompagna inevitabilmente la vita dell’uomo sulla terra. Assieme ad esso compaiono lo sforzo, la fatica, la stanchezza, come manifestazione del dolore e della lotta che fanno parte della nostra esistenza attuale e che sono segni della realtà del peccato e del bisogno di redenzione. Ma il lavoro non è in se stesso una pena, né una maledizione, né un castigo: coloro che parlano così non hanno letto bene la Sacra Scrittura. È tempo che i cristiani dicano ben forte che il lavoro è un dono di Dio» (È Gesù che passa, punto 47). Ma per esser vissuto come un dono, tranne casi eccezionali, non dovrebbe essere più prestato, favorito, organizzato nel giorno del Signore!

Di Giuseppe Brienza
Tratto da: Il settimanale di padre Pio